ALCUNE QUALITA' UMANE MENO CONOSCIUTE
DEI SANTI DELLA FAMIGLIA VINCENZIANA

DI P. ROBERT MALONEY CM
Conferenza tenuta al CIF (Centro Internazionale di Formazione) di Parigi l'8 maggio 2005

(NOSTRA LIBERA TRADUZIONE DALL'INGLESE)

E' facile dimenticare che i santi sono anche uomini. Le loro biografie, i loro processi di canonizzazione, e perfino i loro devoti tendono a focalizzare l'attenzione sui loro doni spirituali. Il pericolo è che facciamo diventare i santi troppo eterei, quasi troppo perfetti per noi comuni mortali. Cominciamo a pensare a loro come sempre buoni, come senex a puero, vecchio fin da bambino, nel senso della litania di S. Vincenzo (che implora proprio in questi termini il Santo Fondatore: espressione di una mentalità forse oggi difficile da comprendere!....N.d.T.).
Alcuni biografi hanno descritto i santi come persone che facevano il voto di castità quando erano ancora bambini, mentre sappiamo benissimo che difficilmente avrebbero potuto farlo in piena consapevolezza.
Così i santi diventano come le statuette di plastica che vediamo sul cruscotto delle auto: sempre sorridenti, imperturbabili, con lo sguardo sempre fisso al Signore.

Ma i santi sono uomini come noi. Essi mangiano e bevono. Ridono e piangono. Si comportano a volte eroicamente e qualche volta sbagliano gravemente. Cambiano. Crescono.

Oggi, al fine di mettere in rilievo l'umanità dei nostri santi vincenziani, voglio soffermarmi su alcune delle loro qualità molto umane.
I Biografi hanno spesso ignorato alcune di queste qualità: ma a dire il vero io le trovo molto interessanti.

Ne descriverò cinque.

1. Luisa di Marillac, la pittrice

Luisa fu una donna di cultura, che aveva ricevuto una buona educazione. Studiò il francese ed il latino. Leggeva molto, scrisse molto, a volte in modo elegante, ed ebbe una acuta conoscenza della teologia del suo tempo. Lei stessa compose un catechismo per aiutare le sue consorelle nell'insegnamento alle ragazze. Ne abbiamo ancora il testo.

Mi sorprende il fatto che sia stato scritto così poco su Luisa come pittrice. Non voglio certo dire che fu una grande artista, ma la sua pittura è sicuramente un aspetto interessante della sua personalità

Abbiamo ancora un certo numero di suoi dipinti. Sappiamo che erano molti. Luisa li definiva "il mio modo di dilettarmi attraverso immagini o altre devozioni" (ES 775).

Consentitemi di dire qualche parole su ciascuno di questi dipinti.

Possediamo tre acquerelli fatti da Luisa. Il primo rappresenta una giovane donna, che rappresenta la stessa Luisa, seduta presso un fiume dove c'è una deliziosa veduta. Notate le torri nell'edificio sul fiume, gli alberi, i fiori. La donna ha appena finito di scrivere su un nastro il nome di Gesù. Luisa ha incorniciato questa scena con le parole "C'est le nom de Celui que j'aime" (E' il nome di colui che amo).Questo dipinto è nell'Ufficio del Superiore Generale a rue du Bac.


Questo secondo acquerello mostra il Buon Pastore circondato dalle sue pecore. Una di loro è saltata in grembo a Gesù e si sta dissetando alla ferita sul costato. Altre due sembrano fare lo stesso ai piedi di Gesù. Si vede poi una quarta che sta per baciare Gesù. Notate lo sfondo. che è ricco di dettagli: le torri, una casa, il fiume, una parete,lo steccato, gli alberi, uccelli, piante....

Il terzo acquerello rappresenta la Sacra Famiglia. Giuseppe sta lavorando come falegname e Gesù guarda e impara. Maria sembra rammendare i vestiti. Notate gli attrezzi, il legname, la segatura sul pavimento, la casa, le finestre, la porta, il terrazzo lastricato, gli uccelli, il paesaggio, gli alberi....

Ecco una rappresentazione più grande della Sacra Famiglia. Questo dipinto risale alla fondazione della prima Casa delle Figlie della Carità nella Parrocchia di St. Savior. Quando la Casa fu chiusa, il dipinto andò alla Casa Madre.
Maria e Giuseppe stanno in piedi, o forse camminano, con Gesù, su cui sta scendendo lo Spirito Santo: Giuseppe è rappresentato col tradizionale giglio e Maria è in atto di preghiera.

 

Questo medaglione si trova negli Archivi di rue du Bac ed era precedentemente nell'appartamento della Madre Generale.
Una più accurata analisi fotografica ha mostrato un cuore che ad occhio nudo si poteva appena vedere e che non è stato notato per anni.
Sulla striscia di destra vicino alla testa di Gesù sono scritte le parole: "Imparate da me che sono mite...", e sulla striscia di sinistra "Venite, benedetti dal Padre mio...".
Santa Luisa si riferiva ad immagini come queste quando scriveva a una consorella, dicendo (ES 334): "Ecco alcune immagini che vi sto inviando: un Signore di Carità da mettere nella stanza dove ricevete i poveri e un'altra per la vostra stessa stanza".

Come potete vedere chiaramente c'è un'attestazione sul retro del medaglione, che afferma : "Cet image a été peint de la propre main de la venerable Louise de Marillac, veuve de M. le Gras, secretaire de la reine Marie de Medicis, et 1ere Supérieure de la Compagnie. Morte le 15 mars 1660". (Questa immagine è stata dipinta di sua mano dalla Venerabile Luisa di Marillac, vedova di M. Le Gras, segretario della regina Maria de' Medici, e Prima Superiora della Compagnia. Morta il 15 marzo 1660)

 

Questo dipinto si trova sulla scala vicino all'ufficio del Superiore Generale nella Casa Madre delle Figlie della Carità a rue du Bac. San Vincenzo e Santa Luisa distribuivano immagini simili, che loro chiamavano "il Signore della Carità". Vincenzo mandò a Luisa la prima di queste immagini stampata, dipinta da un artista sconosciuto, nel Gennaio del 1640 (SV II,10). Luisa inviò un certo numero di queste immagini alle Case delle Figlie della Carità (cf. Ecrits Spirituel, 223, 334).

Nel 1891 questo dipinto fu notato in una cappella annessa alla Cattedrale di Cahors, dove era stata stabilita una Casa delle Figlie della Carità al tempo di San Vincenzo e Santa Luisa. E' bello che questa Casa, come molte altre (come sappiamo dagli scritti di Santa Luisa) ricevette un "Signore della Carità" dipinto da Lei.Questi dipinti erano probabilmente posti nella stanza o nella Cappella dove le Confraternite delle Dame di Carità si riunivano, cosicchè potevano avere un'immagine del Signore, loro patrono.

Nella parte inferiore di questo dipinto è stato scritto in maiuscolo "Ce tableau a été peint par M.lle Le Gras notre mère et institutrice (Questa tavola è stata dipinta da Mademoiselle Le Gras, nostra Madre e Fondatrice)". Si nota che, per qualche ragione, le consorelle di Cahors hanno fatto aggiungere da un artista locale 25 cm. di tela intorno al dipinto, rendendo il nuovo pezzo di tela simile a quella originale, e aggiungendo l'iscrizione.
Il dipinto probabilmente fu mandata alla cappella presso la cattedrale durante la Rivoluzione Francese, quando le consorelle furono espulse dall'orfanotrofio che gestivano a Cahors. Nel 1891 un membro delle Conferenze di san Vincenzo de Paoli lo portò all'attenzione di un confratello , M. Méout, che era il superiore del seminario maggiore locale. Il Vescovo di Cahors lo diede alle Figlie della Carità presso la Casa Madre.

Il dipinto mostra Gesù, quasi in grandezza naturale, con le braccia aperte: la sua testa è inclinata e i suoi occhi abbassati, come se stesse parlando e offrendo il suo amore a un cristiano che lo sta implorando. Egli è in piedi su un globo di fuoco, a significare che è sia creatore che salvatore. I suoi piedi e le sue mani mostrano le sue ferite. Dalla sua testa si irradiano raggi di luce.

Questa è veramente una notevole immagine, se si considera che fu dipinta 50 o 60 anni prima delle apparizioni del Sacro Cuore di Margaret Mary.
La devozione di Luisa al Cuore di Gesù probabilmente si è sviluppata sotto l'influenza di S. Francesco di Sales sulla sua spiritualità e a seguito dei suoi contatti con le suore cappuccine e con le suore della Visitazione, che proprio in quel periodo stavano diffondendo la devozione alle sofferenze e alle cinque piaghe di Cristo. Il Cuore che Luisa dipinge è più semplice di quello che Margaret Mary renderà popolare. E' senza fiamme. Non c'è la corona di spine. Ma è una delle prime rappresentazioni del genere del cuore di Gesù che noi conosciamo. Alcuni ritocchi al cuore in questo dipinto furono aggiunti, ma certamente la maggior parte del dipinto è di mano della stessa Santa Luisa. E' interessante notare che Santa Luisa inserì il Cuore di Gesù anche nello stemma delle Figlie della Carità.


2. Pierre-René Rogue, il cantante

Pierre-René è una personalità affascinante. La maggior parte della sua vita e del suo ministero, ed anche la sua esecuzione, ebbero luogo nella sua città: Vannes, dove, prima di entrare nella Congregazione della Missione nel 1786, era stato sacerdote diocesano. In Congregazione il suo ministero principale fu la formazione del clero. I concittadini lo chiamavano affettuosamente "il pretino", giacchè era alto appena 1 metro e mezzo. Aveva l'aspetto di un bambino. Aveva capelli castani che circondavano una testa quasi calva, ciglia castane, dolci occhi blu, e una barba rossa.

Quando scoppiò la Rivoluzione Francese, Rogue fu estremamente fermo nel rigettare la Costituzione Civile del Clero e si espose nell'incitare gli altri a rigettarla. Quando il suo superiore dichiarò che era orientato a fare il giuramento di accettazione, Rogue lo convinse a non farlo. Incoraggiò molti altri a rifiutare il giuramento.

Fu un periodo strano, spesso imbarazzante, per gli abitanti di una piccola città come Vannes, la maggior parte dei quali amava Rogue. Lo volevano vivo, piuttosto che morto. Una volta, quando viveva nascosto ed amministrava in segreto i sacramenti, gli fu chiesto di andare al comando di polizia per dare gli ultimi sacramenti alla moglie di un ufficiale. Egli andò. Nessuno lo infastidì...

Pierre-René fu arrestato la vigilia di Natale del 1795, denunciato da un uomo chiamato Le Ment la cui famiglia era stata aiutata economicamente dalla madre di Rogue. I concittadini, molti dei quali erao stati a scuola con lui, gli offrirono numerose opportunità per scappare, ma egli rifiutò, perchè pensava che la sua fuga avrebbe avuto conseguenze negative su di loro.

Al processo, che si tenne nella cappella del seminario, dove egli aveva pregato tante volte, il pubblico ministero, che lo conosceva bene, rifiutò di pronunciare l'arringa contro di lui. Perfino dopo che fu condannato a morte, i suoi amici tentarono di farlo scappare, ma ancora una volta, temendo rappresaglie contro di loro, egli non accettò. Al momento dell'esecuzione, all'età di 38 anni, offrì il suo orologio a colui che lo aveva denunciato. Chiesa anche alla madre di continuare ad aiutare economicamente la famiglia di quello.
Il suo boia era uno dei suoi alunni prediletti ed esitava molto. Rogue gli disse di fare quello che doveva. E quello lo fece.

I suoi contemporanei attestano che Rogue aveva una magnifica voce da cantante. In prigione incoraggiò gli altri, ascoltò le loro confessioni e divise con loro l'abbondante cibo che sua madre gli mandava per i suoi pasti.
Scrisse anche poesie e canzoni.
Andando verso la ghigliottina cantò un inno a cinque strofe che aveva composto in prigione. Eccolo:


Que mon sort est charmant,
mon âme en est ravie!
Je gofte en ce moment
une joie infinie,
que tout en moi publie
les bontés du Seigneur!
Ma misPre est finie,
je touche B mon bonheur.

J'ai servi Dieu, mon Roi,
en imitant son zPle ;
J'ai conservé la foi,
je vais mourir pour elle.
Que cette mort est belle,
et digne d'un grand cÉur!
Priez, peuple fidPle,
pour que je sois vainqueur!

O vous tous que mon sort
affecte et intéresse,
loin de pleurer ma mort,
tressaillez d'allégresse ;
Tournez votre tendresse
sur mes persécuteurs ;
Sollicitez sans cesse
la fin de leurs erreurs.

Hélas ! Ils ne sont plus
les enfants de lumiere,
puisqu'ils n'écoutent plus
le successeur de Pierre ;
Mais puisqu'ils sont nos frPres,
chérissons-les toujours ;
N'opposons B leur guerre
que douceur et amour.

O Monarque des cieux,
O Dieu, plein de clémence,
daigne arrLter les yeux
sur les maux de la France!
Puisse ma pénitence,
égale B ses forfaits,
désarmer ta vengeance,
te la rendre B jamais!

Come è bello il mio destino,
la mia anima è assai lieta!
Provo in questo momento
un'infinita gioia;
Posso proclamare con tutto me stesso
la bontà del Signore!
La mia miseria è superata,
sto alla soglia della felicità.

Ho servito Dio, mio Re,
imitando il suo zelo;
ho mantenuto la fede;
sto per morire per essa.
Come è bella questa morte,
e degna di un cuore intrepido!
Pregate, o fedeli;
perchè io possa vincere!

O voi che per la mia sorte
vi affliggete e preoccupate;

non piangete la mia morte
ma saltate per la gioia!
Estendete ai miei persecutori
la vostra tenerezza.

Chiedete senza sosta
la fine dei loro errori.

Ahimè! non ci sono più
figli della luce,
da che loro non più ascoltano
il successore di Pietro;
ma poichè sono nostri fratelli,
amiamoli sempre:
Contrastiamo questa loro guerra
solo con la dolcezza e l'amore.

O Monarca dei Cieli,
o Dio, pieno di grazia,

degnati di volgere lo sguardo
sui mali della Francia!
Possa la mia sofferenza penitente
compensare le loro offese;
abbandona la vendetta,
e riportala a te per sempre!

3. Giustino De Jacobis, il disegnatore


Giustino era un acuto osservatore della vita. Annotava sempre i suoi pensieri e le sue impressioni. E fu anche molto creativo. In un momento di bonaccia su una nave, egli scrisse una poesia, che si trova nel suo Diario (I,222). Quando una persona o un luogo lo impressionavano, ne faceva un disegno. Questi disegni caratterizzano il suo diario. Una volta si lamentò perchè non aveva una buona penna per scrivere (I,186) o perchè, non avendo un pennello, doveva usare una penna assai misera per "rappresentare quello che io ritengo lo spettacolo più bello del mondo".
Consentitemi di illustrarvi un certo numero dei disegni di Giustino.

Nella Parte 3, p.32, del suo Diario, Giustino mostra grande ammirazione per il modo in cui gli Abissini hanno rappresentato le figure degli angeli, espresso i dogmi cristiani, raccontato le storie dei santi. Egli comincia allora a descrivere i dipinti in una chiesa dedicata a Maria in una città che stava visitando. Scrive: "Sento oggi la necessità che un missionario ha di disegnare...". Si interessa poi in modo particolare dal Santo dei Santi nella chiesa, notando che sulle sue pareti è dipinto un Cherubino che ha sfoderato la sua spada e la impugna.

A proposito della stessa chiesa, Giustino scrive del dipinto del Giudizio Universale, in cui il pittore abissino ha tentato di esprimere: la resurrezione dei morti attraverso due angeli che suonano le trombe, uno a destra e uno a sinistra; la separazione dei buoni dai cattivi, che sono con il diavolo nel fuoco; il libro aperto in cui è scritto il bene e il male fatto da ciascuno; e come Cristo Giudice ha vicino a lui, alla destra, Maria, la Prima dei Santi.

 

Questo è un disegno della facciata dell'abbazia di Debrà Dammo, che Giustino descrive (III,183) come una delle più belle dell'Abissinia Orientale. Egli afferma nel suo Diario che la navata centrale è separata dalle due laterali per mezzo di colonne di un sol pezzo di pietra viva di forma cubica .La parte superiore delle colonne è un cubo massiccio, su cui è scolpita una croce, che sostiene l'architrave. Le architravi hanno uno stile architettonico sconosciuto a Giustino. Sulla loro superficie c'è un fregio rozzamente scolpito.
Nel secondo atrio. si vede una parte del soffitto ripartito in tre piccoli quadretti nel cui spazio si può vedere, scolpito in legno, o un cammello, o un grifone, o qualche altra figura grottesca o favolosa.

Non mi è chiaro cosa siano le due strutture a forma di porta nella collina. Sono gli ingressi alle tombe, di cui Giustino parla poco dopo?

Per entrare nel monastero, Giustino dice che ha dovuto essere legato e tirato su per uno strapiombo di circa 30 cubiti. Giunto lì, i monaci si prostrarono davanti a lui. Egli racconta come rimase impressionato dai digiuni e dalle preghiere notturne dei monaci.

Giustino disegnò un monaco abissino, con una piccola legenda, dove ci sono numeri per identificare vari oggetti: 1) un aspersorio; 2) una stola (?); 3) una croce; 4) un rosario. Notate il turbante, l'abito fluente, e i piedi nudi.


Questo disegno (III,352) rappresenta il costume indossato dalle donne al seguito dell'armata dei soldati abissini. Notate che Giustino ha scritto in basso "Soldata" e "Soldato" (femminile e maschile). Il Diario non fornisce alcun commento a questo disegno: si dice solo che è giunto a un posto dove vivono le famiglie dei soldati. Notate la lancia, i vestiti, le pettinature, e le bottiglie.
Si vede un bambino in questo disegno?
E' uno scudo ciò che si vede alle spalle della persona a destra?

Questo è il disegno della "spedizione" che accompagnò Giustino a Memsah (III,413). Giustino dice che poichè la strada era così piena di ladri e assassini, decise di viaggiare nel modo più povero; cioè a piedi, con la testa scoperta, vestito di un vecchio abito nero. Nel gruppo c'era il vecchio Atò Achilàs, due uomini della città, due giovani cattolici, ed un mulo che trasportava farina e un letto. Partirono in silenzio alle due del mattino alla luce di una brillante luna. Giustino dice che Atò Achilàs era quasi sempre in testa al gruppo ed era, anche se il più vecchio, il più vigoroso. Scesi a valle, ciascuno di loro si tolse la tela che li copriva e se la pose intorno ai fianchi come una cintura, con un'estremità che pendeva dietro fino al polpaccio. Si dissero l'un l'altro: "Siamo al punto più pericoloso. Bisogna marciare velocemente e in silenzio, stando in guardia". Andarono, racconta Giustino, camminando per 10 ore con un passo che "avrebbe ucciso un levriero".

Questo disegno illustra le abitudini funerarie che Giustino descrive molto a lungo nelle precedenti pagine del diario (III,443-444), notando la loro grande solennità. Il lutto dura otto giorni. La gente si raduna in casa, per strada, ed in chiesa. Parenti e amici vengono dagli altri villaggi. Si lamentano ad alta voce ripetutamente. Si strofinano continuamente l'una e l'altra tempia col bordo dei loro vestiti, talvolta procurandosi notevoli ferite. Al terzo giorno ha luogo il funerale solenne.

Il letto è posto fuori, vicino alla porta della casa del morto. Il letto ha la forma di un parallelogramma allungato con quattro picchi stretti insieme da quattro assicelli, ai quali sono legati strisce di cuoio, cosicchè uno ci si può stendere. Le donne gridano "lì, lì, lì", che in alcune culture è un grido di gioia, ma qui è usato ai funerali. Ci sono anche danzatrici che, dice Giustino, ha tentato di rappresentare nel disegno.

Questo disegno mostra una parte dell'abbazia di Debrà Bizèn (III,465). Giustino descrive a lungo come è difficile salire a questa abbazia, posta in alto su una montagna composta di enormi massi di granito, e come tutti bevvero un liquore che trovarono e che li fece riprendere forza, anche se la guida del posto pensò che stesse morendo avvelenato, quando avvertì gli effetti della misteriosa bevanda.

Il Diario dice che Debrà Bizèn si trova a 7000 piedi, vicino a un vulcano, ed è quasi completamente isolato. Quando raggiunsero la cima, trovarono una croce di legno dei pellegrini. Esausto per la salita, Ghebrè Michael, che accompagnava Giustino in questo viaggio, si buttò a terra ai piedi della croce, quasi svenuto.

Mentre Giustino e i suoi compagni stavano lì, il monastero fu attaccato e Giustino dovette mediare la pace.

Egli e i suoi compagni erano ansiosi di vedere la famosa libreria di questo monastero. Cominciarono ad offrire i loro numerosi regali. Giustino scrive: "In Abissinia i regali fanno sempre miracoli". Nella libreria trovarono circa 300 libri, la maggior parte, come Giustino afferma, "storie di santi riempite di innumerevoli cose incredibili che contraddicono non solo il senso comune ma anche lo spirito del vero Cristianesimo".

In questo disegno, che è comico e serio nello stesso tempo, vediamo un bambino di 4-5 anni che gioca con la barba di Giustino (III,516). Giustino mostra il bambino di bell'aspetto e quasi completamente nudo, tranne che per una povera pelle di capra che gli copre le spalle. Era l'unico bambino di una povera donna che stava morendo. Si può vedere la donna su una pelle di mucca, stesa a terra. Giustino era andato al suo rifugio, una grotta, per ascoltare la sua confessione. Il disegno è anche un autoritratto. Giustino scrive: "Il grazioso fanciullo, frattanto, senza aver paura di me, come sogliono averla ordinariamente i fanciulli abissini al primo vedermi, si divertiva camminandomi sui piedi, e prendendomi la barba".


4. Louis-Joseph François, lo scrittore e oratore

Louis-Joseph, ora generalmente dimenticato, fu invece molto noto ai suoi tempi. Ma gli capitò di vivere nel più tumultuoso periodo storico, specie per uno che era prete francese.

Nacque nella piccola città di Busigny il 3 febbraio 1751, il maggiore dei figli superstiti di una famiglia di agricoltori. Dopo essere stato educato dai Gesuiti, fu ammesso nella Congregazione della Missione quando non aveva ancora 16 anni. Dovette così aspettare prima di pronunciare i voti e di nuovo prima di essere ordinato sacerdote perchè era troppo giovane rispetto all'età richiesta. Due dei suoi fratelli furono membri della Congregazione e una sorella divenne Figlia della Carità

Era brillante e versatile. Prima ancora della sua ordinazione fu inviato ad insegnare in seminario. Sappiamo che nel 1781 era il superiore del seminario di Troyes. Nel 1786 fu nominato Segretario Generale della Congregazione. Quando scoppiò la Rivoluzione, era (1788) superiore a San Firmino a Parigi, l'ex College des Bons-Enfants. Fu lì che divenne una delle molte vittime dei massacri di Settembre: fu ucciso il 3 settembre 1792, buttato giù da una finestra e poi picchiato a morte da un gruppo di donne a colpi di bastone. Quel giorno a San Firmino furono uccise in totale 72 persone

Ma oggi io voglio parlare delle sue straordinarie doti di oratore e scrittore.

Come oratore, Louis-Joseph fu molto ricercato. Nel luglio del 1786 fu uno dei predicatori nella celebrazione del centenario di Saint-Cyr, una scuola fondata da Madame de Maintenon, la seconda moglie di Luigi XIV. Pronunciò un panegirico che fu poi stampato in 78 pagine.

Nel dicembre 1787 tenne l'orazione funebre per Sr. Marie-Thérèse de Saint-Augustin, la figlia del re Luigi XV. Anche questa fu poi pubblicata, in 95 pagine.

In quanto Segretario Generale, viveva a Saint-Lazare. Una nota nella raccolta delle lettere circolari del Superiore Generale dice che quando Luis-Joseph fu messo nella lista di quelli che avrebbero parlato alle Conferenze del martedì, "tutto il clero di Parigi" accorse.

Divenne un noto libellista dopo lo scoppio della Rivoluzione. Nel novembre 1789 scrisse Un'opinione sulla proprietà della Chiesa, argomentando contro la decisione dell'Assemblea Nazionale di confiscare le proprietà della Chiesa. Nel gennaio 1791 scrisse La mia Apologia, spiegando perchè non intendeva fare il giuramento di fedeltà alla Costituzione Civile del Clero ed esortando anche gli altri a rifiutarsi. Questo libello ebbe almeno sette edizioni. Nei successivi cinque mesi scrisse altri cinque libelli. Poi nell'Aprile 1791 compose La Difesa della Mia Apologia, contro Monsieur Henri Grégoire, un vescovo costituzionalista, che aveva tentato di confutarlo. Anche questa opera ebbe 7 edizioni.

Quando l'Assemblea Nazionale pubblicò essa stessa una lettera pastorale incoraggiando i preti a fare il giuramento, Louis-Joseph scrisse Un'analisi delle Istruzioni dell'Assemblea Nazionale sulla Costituzione del Clero, un'abile confutazione della posizione dell'Assemblea. Giacchè uno degli argomenti dell'Assemblea per far apparire necessario il giuramento era che rifiutarlo avrebbe portato allo scisma, Louis-Joseph aggiunse un altro libello: Riflessioni sulla paura dello scisma. Quando l'Assemblea incominciò a suggerire ai preti che non giuravano di abbandonare volontariamente i loro posti, Louis-Joseph replicò con un libello intitolato Nessun abbandono. Poi si rivolse ai preti che avevano già giurato, con un libello chiamato C'è ancora tempo, incoraggiandoli a ritrattare.

Poi, attratto da un dettagliato lavoro di un teologo della Sorbona, ne pubblicò un compendio, intitolato Alla fine il Popolo vede, che arrivò a quattro edizioni. Nel dicembre 1791 una nuova Assemblea deliberò un nuovo giuramento, che Luigi XVI rifiutò di ratificare. Louis-Joseph scrisse, in difesa della posizione del Re, l' Apologia del Veto del Re. Che fu la sua ultima pubblicazione.


5. Vincenzo de Paoli e Louisa di Marillac, gli amministratori

San Vincenzo era realistico, pratico. Credeva che, senza una solida base economica, la Congregazione e le Figlie della Carità non avrebbero potuto compiere la loro missione.

Diceva che non aveva mai accettato la proposta di "persone che hanno solo il desiderio e non vogliono calcolare le spese" (SV VII,208)! Se i missionari volevano offrire gratis i loro servizi, allora dovevano contare su una base finanziaria nella forma di un fondo o di una fonte di entrate regolari.

Vincenzo fu notevolmente creativo nello stabilire fondazioni per mantenere case, missioni, ed altre opere. I fondi per sostenere le nostre missioni e i nostri missionari vennero da benefici, dai diritti di riscossione di tasse e dazi; da lasciti, da proprietà, da donazioni, dalle Concessioni di linee di carrozze da noleggio e da altre fonti. Tra i suoi benefattori più generosi furono il re Luigi XIII e la sua vedova, e anche la Duchessa d'Aiguillon.
Sebbene ci possa oggi sembrare strano, la fonte principale di entrate per le missioni in Algeria e Tunisi furono i coach-route businesses a Chartres, Rouen, Orleans, Soissons, e Bordeaux.

In anni recenti molti scrittori hanno studiato questi argomenti: notevoli tra questi sono José-María Román e Bernard Pujo.
Ecco una lista delle fondazioni della Congregazione della Missione di Vincenzo:


1625 Collège des Bons Enfants
à Paris

1632 St. Lazare
1635 Toul
1637 Aiguillon
La Rose
1638 Richelieu
Lucon
Troyes
Alet
Annecy
1641 Crécy
1642 Rome
1643 Marseille
Cahors
Sedan
1644 Saintes
Montmirail


1645 Le Mans
Saint Charles (Paris)
Genoa
Tunis
1646 Algiers
1648 Madagascar
Tréguier
Agen
1650 Périgueux
1651 Poland
1652 Montauban (Notre Dame de Lorm)
1654 Turin
Agde
1658 Meaux
1659 Montpellier
Narbonne

Come si può vedere, Vincenzo ha fondato, in media, circa una casa all'anno tra il 1635 e il 1659. Questo è un notevole risultato per uno che, secondo tutte le testimonianze, si muoveva lentamente e mai "scavalcava la provvidenza". Ma ciò che è più notevole è che egli stabiliva una fondazione per il supporto a ciascuna di queste Case. E' interessante notare che la distribuzione geografica di queste fondazioni ricalca principalmente le zone di interesse pastorale e finanziario dei più importanti contatti di San Vincenzo.

Ecco una lista delle fondazioni della Figlie della Carità di Vincenzo e Luisa:


Case di Parigi

1633 Principal House, rue des Fossés St Victor
1634 Hospice for incurable women
1635 St. Paul, school
Foundlings
1641 Principal House, St. Laurent Parish, across from St. Lazare
1643 St. Laurent
Holy Name of Jesus Hospice
St. Louis en l'Ile
Bel-Air, orphans
Saint Sauveur
Child Jesus, Notre Dame Hospice
St. André des Arts
St. Cosme
St. Jean en Grève
St. Martin
St. Nicolas
St. Marguerite
St. Etienne du Mont
1655 the insane, Hospital of the Little Houses
St. Sulpice

Zone di guerra

around 1649 Picardy
1641 & 1653 Sedan
around 1652 Étampes and elsewhere
1653 Châlons and St. Menehould
1657 Montmédy
1658 Calais


Case fuori Parigi

1638 Richelieu
1639 Angers Hospital
Sedan
1641 Nanteuil
1636/45 Liancourt
1638/45 St. Germain en Laye
1645 Morée Hospice
Saint Denis
Serqueux
1646 Nantes
Fontainebleau
1647 Chars
Montmirail
Montreuil
Chantilly
1648 Dourdan
1649 Fontenay aux Roses
1650 Hennebonn
1652 Brienne
Warsaw, Poland
Varize
Rueil
1654 St. Fargeau
Châteaudun
Lublé
Videlles
Ste. Marie du Mont
1655 Houilles
Bernay
La Roche Guyon
1656 Arras
La Fère
Attichy
1657 Cahors
1658 Ussel
Metz
1659 Narbonne
1660 Moutiers St. Jean
Gex
Belle-Isle
Alençon

Come si può vedere Vincenzo e Luisa fondarono, in media, circa due case all'anno tra il 1633 e il 1660. Questo è un risultato ancora più notevole di quello della fondazione di case della Congregazione della Missione. Come per la Congregazione della Missione, fondazioni erano stabilite a supporto delle case delle Figlie della Carità, e la loro distribuzione geografica ricalca principalmente le zone di interesse pastorale e finanziario dei più importanti contatti di San Vincenzo e Santa Luisa. Vincenzo e Luisa erno buoni poveri e buoni negoziatori.

Vincenzo riconobbe che Luisa era un ottimo amministratore. Egli dice nell'Assemblea Generale delle Figlie della Carità nel 1655: " Non avete avuto una superiora che lasciasse andare in rovina la casa; al contrario ella ha raccolto quello che era necessario per avere una casa. Cosicchè voi dovete ringraziare Dio di avervi collocate in questa situazione. Io non so di qualche casa di consorelle che sia nella vostra condizione. No, vi dico, non ne conosco a Parigi: e questo è dovuto, dopo che a Dio, alla buona amministrazione di Mademoiselle".

C'è molto più di qualche elemento che ci informa di San Vincenzo come amministratore. In anni recenti, sono stati scoperti molti contratti che gettano luce sulla questione. Per esempio, si calcola che, durante il lavoro di soccorso nella Lorena devastata dalla guerra, Vincenzo riuscì, nel corso di 10 anni, a portare aiuti per un ammontare di 1.500.000 lire, oltre che 33.000 metri di tessuti vari. Gli storici stimano che le lire corrispondevano grosso modo a $ 60.000.000 del corso di oggi.

Questo solo in Lorena. Se si aggiungono le Case della Congregazione della Missione e delle Figlie della Carità e le molte altre opere che San Vincenzo sosteneva, la somma di denaro che Vincenzo amministrava era veramente emorme.